Fare il controllore dei Mondi non è una cosa facile quanto si pensi.
Anche tralasciando i disagi degli spostamenti intergalattici e gli
invecchiamenti e ringiovanimenti che si portano dietro, c’è da tener
presente la trasmigrazione integrata delle conoscenze. Si finisce per
far confusione. Mi son trovato un vecchio con dolori ovunque, cateratte
al sistema visivo quando ero tra gli ipertrofici e ho veramente
faticato a star dietro alle invenzioni aromatiche che quel popolo
produceva. Mi era anche venuta una terribile allergia al loro sistema
sonoro e il mio sistema linfatico era troppo vecchio e malandato a quel
punto perché qualsiasi medicina induttiva potesse far presa senza
uccidere il gruppo di riferimento centrale, o “pensiero”, come lo
chiamano in qualche parte sperduta e primitiva della Galassia. Invece,
ero un giovanotto pieno di confusioni e desideri quando mi trovavo tra
gli Esseri della Dimora delle Libertà, che poi non è altro –per chi non
li conoscesse—che un gruppo di oligarchi dediti alla distruzione
sistematica del loro ambiente vitale per procurarsi piaceri inferiori e
transeunti come mezzi di trasporto di un certo colore e il diritto di
negare sostentamento ai loro simili.
Dieci rotazioni venusiane fa mi arriva l’incarico di andare ad
esaminare il “Festival della Produzione Ultima”, che si svolgeva nel
Tempio della Morte, a sei cubiti d’energia da casa mia. Ero
contrariato. Come sapete, questa è proprio la stagione della
decapitazione delle Forme Minori e se non mi ci fossi dedicato io
stesso ne avrei trovate ovunque al mio ritorno. Ho dovuto appaltare il
lavoro a una ditta di decapitatori e ognuno sa quanto siano
indisponenti. Sapevo già che mi avrebbero consumato tutte le riserve di
Condizionatore Inebriante, che mi ero procurato a fatica dai
Distillatori Intergalattici. Ma che ci potevo fare?
Dunque sono partito verso il Mondo della Nebbia, quel puntolino caotico
che ancora non ha percezione dell’esistenza degli altri Mondi. Forse
non tutti sanno quale sia la popolazione che lo abita. Si sentono tante
storie su quel Mondo e vorrei sfatare alcuni miti. Prima di tutto non è
vero che abbiano trovato il modo di preservare le loro risorse. Le
proposte dei più avanzati di loro sono sistematicamente ignorate e,
nonostante tutti qui siano convinti che il loro sistema d’esistenza sia
molto poetico, ancora primordiale e diretto, hanno costruito invece un
sistema di comunicazione artificiale che serve solo a nascondere le
informazioni anche a coloro che le producono. La mistificazione regna
sovrana e nessuno sa bene quale sia il motivo della loro
esistenza.
Propio così. Non lo sanno. La trasmigrazione integrata della conoscenza
mi ha fatto un quadro deludente del loro stadio di sviluppo e mi son
trovato fresco e forte, ancora nel pieno delle mie forze (sei cubiti
d’energia non è una grande distanza) di fronte al Tempio della Morte
che è una dimora di materiale opaco (vivono ancora in strutture fisse
in quel Mondo) su cui venivano proiettate delle immagini incongrue e
spezzate della dimora stessa. La prima impressione che ho avuto è stata
di un sistema di articolazione che, nelle sue forme “moderne” (secondo
il loro concetto di modernità) si limitava alla frantumazione delle
forme e della conoscenza per riproporle poi in strutture ripetitive. Il
Festival conisteva nella riproduzione ossessiva di moduli brevi e
ritmici la cui iterazione non sembrava dar noia a nessuno e anzi, molti
sembravano inebriarsi di tale ripetizione.
Gli esseri di questo Mondo trasportano i loro corpi su due forme
oblunghe attaccate a un cilindro bitorzoluto in metà della popolazione
e liscio nell’altra metà. Pare che loro trovino questa differenza di
consistenze e disposizione dei baricentri molto eccitante. Utilizzano
delle specie di fari spenti per incamerare informazioni visive, ma
quasi sempre dissentono su ciò che hanno percepito, per via, credo,
della rozzezza del loro sistema visivo che non passa quasi mai dal
vaglio attento di un sistema di controllo centrale (che, mi pare di
aver capito, chiamano “cervello”).
L’ingresso al Tempio era condizionato dal possesso di un materiale
grezzo a forma lanceolata che loro consegnavano a un cubicolo
disponendosi in file disordinate. Alcuni avevano accesso grazie a un
sistema a noi sconosciuto. Mi è sembrato di capire che attraverso i
loro fari spenti si mandano dei messaggi di riconoscimento che permette
l’ingresso senza l’utilizzo del materiale lanceolato né la pena di
stare in fila.
All’interno la sonorità era insopportabile. Il volume era troppo alto
perché il loro sistema centrale di riconoscimento possa restare in uno
stato di quiete e un continuo pulsare profondo (che somiglia a un
mmmm-pum mmm-pum) modificava il loro sistema cardiaco
indipendente. In generale, tutti sembravano aver prestato enorme
attenzione alla loro apparenza, mettendo in vista le deformità dei loro
tronchi o dividendo con cura delle masse pilifere che gli crescono
nell’estremità superiore. Tuttavia, non mostravano altrettanto
interesse o attenzione per l’ambiente che li circondava. Gettavano
ovunque dei piccoli cilindri da cui aspiravano una sostanza fumosa e
procuravano fori nella pavimentazione soffice. Tutti si muovevano come
guidati da una motivazione sconosciuta. Per esempio, si spostavano
attraverso una grande sala in cui venivano proiettate delle immagini
ripetitive e prevedibili urtando gli altri e guardando fisso avanti. Ne
ho seguito qualcuno per capire dove si recassero con tanto interesse.
In realtà, si spostavano e basta. Mi è sembrato che non vi fosse alcun
posto in cui fosse interessante recarsi, ma gli esseri di questo Mondo
si spostano soprattutto senza motivo.
Molti di loro ingerivano sostanze inodori che li rendevano pallidi,
privi di sensazioni e di ricordi e li facevano stramazzare a terra
rigurgitando in forma liquida cose che di solito ingeriscono in forma
solida. Gli altri, alla vista di tale scempio, correvano a ingerire le
stesse sostanze intossicanti. Affascinante.
Il loro Mondo è pervaso da un rumore caotico continuo e vagamente
spiacevole. Questo rumore viene poi dissezionato in forme semplici,
come un semplice ripetuto “bip” e presentato a volume altissimo da
alcuni degli Esseri che, per motivi che non sono riuscito a chiarire,
vengono posti su una pedana nel Tempio della Morte. Questi Esseri sono
identici a quelli che si muovono senza motivo sotto la pedana ma
tengono delle sfere sul loro sistema auditivo e spingono dei pulsanti.
Fanno cose che un qualunque altro essere sotto la pedana sarebbe in
grado di fare, ma sembra che chi sta sotto la pedana goda dello
spettacolo di ciò che loro stessi potrebbero fare. Le immagini
che gli venivano presentate insieme a quei ritmi semplici erano di gran
lunga meno complesse, meno affascinanti di quelle che ho visto fuori
del Tempio, ma credo che la Morte eserciti su loro un fascino perverso.
E credo anche che loro identifichino la morte con l’insensata
ripetizione di qualcosa di prevedibile.
Ho guardato a lungo le immagini proiettate in modo vagamente nauseante
(fasci luminosi venivano casualmente proiettati anche sul sistema
visivo di quelli sotto la pedana, accecandoli brevemente) e non sono
stato in grado di trarre alcuna conclusione logica. Mi sembra che si
riducano al movimento di bastoni e riquadri monocromi, che per di più
vanno al ritmo delle semplici ripetizioni sonore di “bip” e “unz” e
“mmm-pum”. Ho anche pensato che forse questi esseri sono ciechi, ma poi
mi sono dovuto ricredere perché attraverso il loro sistema visivo
selezionano nel mucchio altri esseri di cui non sanno niente ma che
avvicinano attratti dalla forma più o meno bitorzoluta che presentano.
Una cosa notevole da riportare è che tutti assumono la stessa
espressione quando si avvicinano a tali forme da cui sono attratti.
Ne ho seguiti alcuni e mi è parso di capire che il fine di tali
avvicinamenti sia portare l’altro essere lontano dal gruppo per
toccarlo. È probabile che questo sia il comportamento riproduttivo di
questi esseri. Affascinante.
In conclusione, queste forme di vita hanno presentato tutti i difetti
delle esistenze che noi chiamiamo “inconsce”, cioè di forme guidate nel
loro esistere da una congerie di istinti che li rendono uguali l’uno
all’altro. Il tratto curioso che presentano è che credono, ognuno di
loro, di essere diversi dagli altri, di essere unici.
Ho deciso di scrivere al Comitato Centrale per richiedere
l’eliminazione di questo Mondo (che loro chiamano “Terra”) dai Mondi
sotto osservazione e, soprattutto, richiederò che non mi mandino più a
un tale Festival che loro chiamano “di Musica Elettronica”.
Science fiction for dummies II
Dopo essermi riconciliato con il mio appartamento, dunque, mi accinsi a
cercare l’appendiabiti per poggiarvi il mio cappotto. Non c’era
all’ingresso… dove poteva averlo messo Marina? Entrai nella sua
testolina mutevole e cercai nei posti più improbabili. Infatti lo
trovai in camera di ripiego, l’ultima della casa. Marina era sul
ripiegante che guardava un laser che disegnava arabeschi sul muro.
“Amore, ma che ci fa l’appendiabiti qui?”
Marina sobbalzò e mi sorrise subito correndomi incontro.
“Alamir, tesoro!” e mi diede un bacio. “Non vedi?” chiese, “E’ la
stanza più bella della casa; è un peccato ogni volta dover trovare una
scusa per mostrarla agli amici. Per evitare affettazione, che so che a
te non piace, l’ho messo qui, l’appendiabiti. Dovranno pur venirci a
lasciare i loro soprabiti, no?”
Marina sorrise di nuovo. Era così bella, così simpatica nel suo modo di
saltellare quando era allegra. Mi venne voglia di chiudermi nella
camera sterile con lei, ma già era scomparsa in cucina. La seguii
cominciando a raccontarle la mia giornata.
“Sono passato dal motoarticolatore come mi avevi detto tu…”
“Ah, sì?” fece lei cristallina. Le guardavo le gambe passare attraverso
il corridoio e attraverso la porta a vetri della cucina. Ero così
affascinato dal suo modo di muoversi che quasi mi dimenticavo di aprire
la porta per entrare anche io. Lei si voltò.
“Una volta o l’altra ci sbatterai e la manderai in pezzi! Devo ricordarmi di tenerla aperta per te.”
“Mh.” Mugugnai. Mi sentivo sempre un po’ inferiore quando sottolineava le differenze tra i nostri sottogruppi.
“Che dici, provo anche io a fare domanda per salire a semi-Biutello?”
“Ancora! E’ pericoloso, lascia stare. E poi, a che serve? Solo per lo
sfizio di poter passare attraverso i materiali soffiati? Dài, non
t’impuntare come al solito. Ricordi quella volta che decidesti che
dovevi a tutti i costi acquistarti qualche paio di Prassitoestensori?”
Aveva una memoria prodigiosa, totale, spietata. Già, una delle caratteristiche del suo sottogruppo. La memoria…
“E ancora ci penso, se lo vuoi sapere! Ma scusa, non avrei bisogno di mangiare, di dormire, non prenderei malattie…”
“Ma a nessuno piacciono i Prassiti! Tranne ai Corporei che, per qualche
motivo, trovano affascinante stare accanto a qualcuno completamente
dipendente da loro… Ma lasciamo andare per oggi, eh? Ho preparato tante
belle cose!”
Stava finendo di tagliare le fibre ottiche e le dispose con grazia su
due piatti. Aveva un gusto straordinario nel disporre la cena.
Andammo in sala e posammo i piatti sul tavolo, ognuno sul suo cromodilatatore. Le sorrisi e lei mi prese la mano.
“Guarda” disse con la voce che era un sospiro, e sorrise guardando i cromodilatatori.
Subito si accesero i diffusori e le fibre ottiche si sollevarono
all’altezza dei nostri occhi. Alcune delle mie, quelle disposte più
lontane dalle sue, s’incurvarono formando delle sfere trasparenti e
muovendosi verso il basso si spinsero dall’altro lato verso le sue,
passando sotto le altre mie. Le sue invece si spostarono tutte in
avanti e si divisero in due gruppi che si colorarono uno di viola e
l’altro di verde.
Mi voltai a sorriderle perché avevo capito cosa aveva pensato di fare.
Lei mi restituì un sorriso complice e ripeté: “Guarda” sempre in un
soffio.
Le viola e le verdi si disposero in due cerchi concentrici che
cominciarono a ruotare in senso opposto, l’uno disponendosi in
verticale, l’altro in orizzontale, come le orbite che avvolgono il
nostro pianeta. Quando arrivarono le mie sfere, un raggio verdino le
colpì ed esse sibilando si inserirono nel cerchio più interno. Ammirai
la sua maestria nell’essere riuscita a programmare l’operazione senza
che l’entrare delle mie sfere interrompesse il ruotare delle sue fibre.
Sorrisi di nuovo, ma stavolta senza voltarmi e sapevo che anche i suoi
occhi erano incollati a guardare la scena che lei stessa aveva
immaginato e ora osservava con un misto di apprensione e di sorpresa
per le variabili che sempre ci sono in una cena cromoluminare. Le mie
sfere levitavano muovendosi leggermente in alto e in basso mentre le
sue fibre continuavano a ruotare. Tornai a guardare le mie altre fibre
che erano rimaste sospese e che erano la variabile di quella cena, per
come aveva disposto Marina. Anche lei si voltò e sentii che tratteneva
il respiro. Erano cinque. Due volarono verso il mio volto e
istintivamente mi ritrassi un po’, mentre altre due volarono verso il
suo, ma lei non lo ritrasse, chiuse gli occhi e sorrise. Tracciando un
otto in aria, ciascuno dei due gruppi di fibre cominciò a sibilare
intorno al mio viso, passando tra noi due e andando a sibilare intorno
al suo. Chiusi gli occhi anche io, dopo aver fissato lo sguardo sulle
orbite viola e verdi che incorniciavano le mie sfere. Il sibilo era
costante, frusciava sfiorandoci e sentivo il calore del raggio
vettoriale sopra i cromodilatatori allargarsi a comprendere anche noi
due. Gradatamente il sibilo si fece più melodico, una sorta di nota,
forse un fa diesis, e lo sentivo passare dalle orecchie fin dentro alla
testa e crescere, crescere fino a che aprii gli occhi di scatto e vidi
l’ultima mia fibra che si scagliava contro alle orbite infrangendone il
moto e facendo così cadere queste e le mie sfere sul suo piatto. Le
altre fibre si erano consumate nel sibilo e sentivo che erano entrate
nella mia testa. Lasciai che il raggio al cromo trasferisse le molecole
delle fibre attraverso le mie pupille e sentii quanto erano colorate di
leggero. Mi voltai a guardare Marina che mi lanciò uno sguardo gonfio
di amore e la baciai.
Science fiction for dummies
Inauguro la nuova rubrica dedicata alla fantascienza e vi presento il primo personaggio. Buon viaggio.
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La memoria immortale
Solo dopo aver chiuso la porta riconobbi dove mi trovavo. Mi capita
spesso di non riconoscere il mio appartamento a luci spente. A volte
addirittura non lo riconosco nemmeno quando le ho accese. Per un attimo
mi sento spaesato, con uno spiacevole senso di déjà vu, di quotidiano
con un che di inaspettato, o forse solo fuori posto. Non mi piace
sentirmi prigioniero della memoria e tornare a casa mi dà quasi sempre
la sensazione di non saper mettere in ordine i miei ricordi più ovvii:
dove si trova l’apprendìmetro, cosa ho lasciato sul buoniario l’ultima
volta, dove avevo messo il pivotale…
Marina, la donna con cui dividevo la casa e la vita, invece, amava
trasformare il nostro appartamento ogni minuto. Non era mai soddisfatta
della posizione degli oggetti, della disposizione delle luci, nemmeno
del colore delle tende. Del resto lo sapevo e me lo aspettavo che
agisse così. Avevo studiato anche io a scuola! Eppure sembrava ancora
tanto strano sperimentare nella vita reale quello che avevo imparato
astrattamente.
Marina è una Biutella, e ovviamente ha una personalità instabile, una
nevrosi costante che la spinge a trovare sollievo nel continuo
mutamento delle conoscenze, degli interessi e persino della
disposizione degli oggetti. Quest’ultima doveva essere una di quelle
cose che sul libro di testo sono scritte più in piccolo, in margine
alla pagina sotto la dicitura: approfondimenti. Roba che nessuno legge
e che il professore non chiede mai. Ricordarsi le caratteristiche dei
75 tipi di cromoluminari era già una parola, senza contare tutti i loro
sottogruppi: i Mutevoli, gli Asclepiadi, le Zorbe… ricordo, tutte
femmine e sterili.
Ma sto divagando, ed è anche normale, essendo io un Vagolato. Mi
piaceva leggere e rileggere a scuola le poche righe che definivano il
mio sottogruppo: “Originariamente esclusi dalle antiche società, per
loro scelta, per forza delle contingenze o per entrambi i motivi, i
Vagolati sono sempre stati in gruppi isolati, spesso senza nemmeno
formare gruppo tra di loro, ma rimanendo chiusi ognuno nella loro
dimensione personale che non gli faceva riconoscere facilmente nemmeno
gli appartenenti al loro stesso sottogruppo. In seguito, attraverso
incroci con i Forzati, l’unico altro sottogruppo che accettasse di
accoppiarsi con loro, si sono stabilizzati, imponendo l’estinzione
quasi totale dei Forzati, dotati di caratteristiche genotomiche non
dominanti, ed essi hanno acquistato la stabile forma che conosciamo
ora. Imprecisi ma profondi nell’analisi dei loro simili, sensibili fino
all’istinto di autodistruzione ma anche distratti al punto di causare
grandi mutamenti, come appunto l’estinzione di un’intero sottogruppo,
senza nemmeno accorgersene, forti nelle loro menti eppure tormentati da
manie persecutorie che impediscono loro di prendere una posizione
stabile nella vita. Dei Vagolati non si sa molto di più, anche perché
nessuno di loro ha mai compilato un manuale descrittivo del loro
sottogruppo. Sono rimasti numerevoli appunti, abbozzi, tentativi mai
però portati a compimento.”
Non mi diceva molto e mi faceva sempre pensare che ci fosse una
tendenza denigratoria, una sorta di antipatia diffusa verso il mio
sottogruppo, del resto abbastanza esiguo, da parte degli altri
sottogruppi. Almeno nella categoria dei cromoluminari. Degli Integri
non si sapeva quasi nulla, se non leggende che li ritraevano come la
sintesi di tutte le nostre parcellizzazioni.
Io non ne ho mai visto nessuno, né conosco nessuno che ne abbia visti.
Vivono in tutt’altra traslazione del resto e sarebbe comunque
impossibile incontrarli se non attraverso i macchinari del Cerchio
Cromatico, che sono costosi e ancora sperimentali.