Ci ho messo una vita a prepararti il regalo per il tuo ingresso nella
sala, il regalo della prima volta. Una vita di
prove, passi affrettati per il corridoio con la candela in mano a
controllare i pulsanti del salvavita, corse matte con i tacchi in mano
verso l'appuntamento in cima alle scale di pietra (il fiatone e i tonfi
senza ritmo nelle orecchie), la prospettiva immobile delle mie gambe
contro -- il pavimento azzurro di un ospedale / le mattonelle decorate
di un atrio buio / la sabbia che affonda fino alla caviglia sfocata
contro il sole --
Una vita ci ho messo, e mazzi di fiori pieni di altre donne, braccia tese contro il totale di un autobus in
corsa alla fermata sbagliata, suoni di campanelli di porte senza
rinforzo - Vita di sguardi puntati, veglie puntate, appuntamenti sul filo appena prima di essere scoperti.
Ero pronta. Il dorso della mano sulla geometria della mia gonna, col
profilo quarantacinque gradi a nord-ovest (della curva che fa la nuca
quando i capelli sono raccolti sul capo), le caviglie un poco
accavallate nelle scarpe dai margini larghi.
Non importa se la riga dei pantaloni ti condanna a un passo di marcia: le braccia accompagnano la spinta e proprio
allora mi balena l'unica domanda che posso
farti.
Un attimo dopo stavo ancora contando le linee sbilenche tra il
metatarso e il malleolo come fossero la risposta inaudibile, anche se fuori e' ancora notte.
A saper fare il calcolo delle lune e delle maree, verrebbe da
riflettere. Tanti i dati e i numeri, cifre tonde e dispari su lati
diversi di fogli quadrettati; i fori dei punti, la schiena curva delle
parentesi. Ad ogni passo di questi mesi, e rilevando ogni levarsi e
cadere nei giorni del sole, l'alternarsi obliquo e inutile di stagioni,
ci sarebbe davvero da tirare le fila, o almeno le somme. Lo scurirsi
del cielo dalla finestra, il passaggio dell'ombra sul cemento qui
fuori, crepa per crepa, soglia dopo soglia, ha contato i minuti e ha
svolto la sua storia mentre tenevo le spalle voltate. Quando guardo
adesso girando la testa, ritrovo un mondo geometrico. Sibillino di
forme che non svelano segreti.
Eppure anche io lo so, 28 mesi: li ho contati a modo mio. E come gli
stucchi e le antenne del palazzo di fronte che mi ha guardato fino ad
ora, anche io non so dirgli il mistero di questo tempo trascorso. Io e lui ci
guardiamo soltanto, a tratti sollevando un sopracciglio.
Regole di comportamento del galateo amoroso.
1. Mai nominare altri uomini o altre donne quando si ha una relazione
intima con qualcuno. Specie se gli altri uomini o le altre donne sono i
nostri attuali compagni.
2. Fuggire sempre, perche' l'importante e' vincere, non partecipare.
3. Prendere tutto quello che ci viene offerto, come nel gioco "Affari
tuoi" la prossima offerta potrebbe non essere altrettanto allettante.
4. Non chiedere mai niente, la partecipazione nella vita degli altri e' sopravvalutata. Meglio illudersi, finche' e' possibile.
5. Chiudere gli occhi.
Il primo appuntamento
1. Non ti depilare. Casomai ti venissero strane idee "sentimentali" col tipo che incontri...
2. Fatti venire un eritema. Cosi' saprai se lui e' interessato solo al tuo corpo o anche alla tua mente.
3. Non nominare i tuoi ex. In effetti, alla domanda "quanti uomini hai avuto" la risposta migliore e' "ma per chi mi hai preso?"
4. Non bere. Portati una fiaschetta di vodka nella borsetta e quando
lui va al bagno (gli uomini vanno continuamente al bagno quando si e'
in un bar) versane il contenuto nel tuo succo d'arancia.
5. Ridi a tutte le sue battute, eccetto a quelle che fa su sua madre.
In quel caso azzarda un timido "secondo me aveva ragione lei"
A me m'ha rovinato il cinema
Prima parte delle disillusioni di vita causate dalla visione di film.
Sotto elencate cose che accadono immancabilmente nei film ma MAI nella
vita.
1. Se scappi piangendo da un uomo, lui ti seguira' e ti bacera'. [scena nella realta' "Che palle 'ste donne! Tanto poi torna, meglio che sbollisca l'isteria da sola..."]
2. Di seguito alla dichiarazione dei propri sentimenti si riceve
un'eguale contropartita. Come nelle canzoni di Carmen Consoli. [scena nella realta' "Ehm... er... grazie, ma io... tu hai frainteso... siamo amici... era solo sesso..."]
3. Se una macchina si ribalta dopo un inseguimento, esplode in una meravigliosa fiammata.
4. Se hai perso di vista il ganzo della tua adolescenza, lui fara' di tutto per ritrovarti. [scena nella realta' "Nefeli
chi? A scuola insieme?... Ah... quella bionda al terzo banco? No?...
Quella con l'apparecchio ai denti e i brufoli?... no?...]
5. Dopo l'idillio un evento eclatante causa una crisi che da' uno
scossone al rapporto che poi ritorna, rigenerato, all'idillio. [scena nella realta' "Vabbe', me so' rotto le palle. Sempre la stessa vita. E' meglio che ci lasciamo!" variante b "E
te pareva che dovevi fare pure tu l'isterica come tutte le donne... no
grazie, ci sono gia' passato. E' meglio che ci lasciamo!"]
6. Quando ti dicono "tornero' ", prima o poi ritornano.
vicino, troppo vicino (1)
Ieri sera il mio vicino, il dirimpettaio del palazzo di fronte, e'
uscito di nuovo ad annaffiare le piante sul balcone. Lo vedo sempre
controluce, lui ha un balcone lussureggiante di piante, stagionalmente
di fiori, solitamente di lunghi e floridi rami pesanti di verdi foglie.
Lui compare, senza preavviso, la notte verso le due o le tre, accende
la luce nella sala tutta a vetri e si dedica ad innaffiare le piante a
petto nudo. Io abito di fronte e a quell'ora di solito mi affaccio per
vedere il lavoro dei netturbini che lampeggiano per la strada bloccando
gli sparuti automobilisti per ritirare l'immondizia che io stessa
produco. Una specie di esercizio onanistico: guardare i miei rifiuti
che vengono portati via dalla mia vista.
Ieri sera pero' lui si e' accorto di me. E' rimasto sulle begonie
talmente a lungo che un rivolo e' cominciato a scendere dal sottovaso
fino al piano di sotto e dal piano di sotto, a cascata, fino al
marciapiede, con un "Ehi!" del tipo che a quell'ora va a comprarsi le
sigarette al tabacchi 24/ore li' sotto. E' uno che sara' sui trent'anni
(da chissa' quanto tempo) e cammina spedito, ondeggiando con le mani
nelle tasche dei pantaloni color sabbia a destra a sinistra fino
al distributore. Armeggia per un po' e poi se ne torna piu' lentamente,
pensoso, verso casa col suo bottino.
Io e il mio dirimpettaio lo guardiamo e poi ci guardiamo e per la prima
volta, da spettatori l'uno della vita dell'altra, diventiamo complici
della vita di quella terza persona che passa sotto le nostre finestre
ogni notte.
Io sorrido, anche se so di essere controluce. Il televisore alle mie
spalle manda lampi troppo forti perche' lui possa distunguere i miei
tratti, ma forse avra' notato l'ingrossarsi delle guance e anche lui
sorride, vedo nella sua silouhette defilarsi un'allargamento del taglio
della sua mandibola, cosi' squadrata... [segue]
Manuale per bambine cattive capitolo V
A Marzo è successa una cosa inattesa: ho trovato lavoro. Sono finita
sul set di un film a fare da assistente di assistenti. “Senti, ma come
si fa a trovare questo lavoro? No, perché io ci provo da un sacco di
tempo, ma non mi prendono nemmeno a lavorare gratis”, mi chiede nella
pausa pranzo una ragazza (solito tipo di “ragazza”, trentenne come me,
vestita come una diciottenne, spettinata e senza trucco). Rifletto.
Come faccio a spiegarle che ho lavorato per anni nel cinema, anni fa, e
poi, dopo secoli di faccio-altro-roba-più-concreta, mi chiama un amico
e mi dice: vieni vieni che faccio un film. Io vado e scopro che però
devo lavorare gratis. Sainoncisonosoldièunacosacosìtraamici. Mh. E per
la mia passione per il cinema sono venuta a lavorare lo stesso... Come
faccio? Per fortuna la ragazza aveva la concentrazione di un criceto e
si è messa subito a correre dietro al regista chiamandolo per nome
(anche se era il nome sbagliato).
Continuo a mangiare il mio pasto di pasta scotta e fetta di formaggio
imbustati nel polistirolo sulle scale umide del pub in cui stiamo
girando alcune scene. Osservo la troupe. Durante le riprese di un film,
così recita l’adagio, nasce almeno una storia d’amore. Il set è un
microcosmo che si posiziona come una bolla asettica sospesa tra i sogni
e le camere da letto. Ci si sente un po’ eroi che condividono
un’avventura (stile “Per chi suona la campana”) e un po’ reclusi che
condividono la disperazione degli ultimi giorni di vita. Tutte le
aspirazioni di vita si esasperano, tutte le percezioni si acuiscono e
rimbalzano dall’uno all’altro come negli speecchi deformanti di un Luna
Park. Prima o poi si perde la cognizione di sé e degli altri e si
comincia a fidarsi dei riflessi, delle distorsioni; ci si affida alla
finzione con cieco senso di realtà. La stanchezza degli orari di lavoro
immotivatamente da fabbrica dickensiana è ammortizzata dal clima di
affettività reciproca stile kibbutz. Lavoriamo per un mondo migliore, è
questo il delirio ideologico che ci prende, e ci rispettiamo l’un
l’altro senza sapere molto l’uno dell’altro. Si dimenticano le basi
reali della nostra vita. Quello è sposato, la moglie aspetta un
bambino, si pensa sorridenti mentre ci mette amichevolmente una mano
sul culo e con l’altra ci fa un buffetto affettuoso sulla guancia.
Sorridiamo senza sferrargli una ginocchiata nello stomaco, perché il
gesto, anzi entrambi i gesti sono affettuosi, sono espressione di
cameratismo. Tanto più che alla vita ci abbraccia un altro membro della
troupe che avvicina le sue labbra al nostro orecchio per bisbigliare:
“hai fatto il bollettino d’edizione per la stampa del rullo 9?”
Confondere questi gesti come segnali d’amore o d’attrazione quali
potrebbero essere nel mondo “normale”, quello “fuori di qui” è roba da
novellini.
La ragazza che faceva l’aiuto regista mostrava una pagina della
sceneggiatura al regista passandogli le dita lungo l’apertura sul petto
della camicia. La costumista scodinzolava il didietro sulle facce dei
macchinisti in pausa ridendo. C’è un erotismo diffuso nel processo
creativo di un film, forse perché è un lavoro che ha successo, che
funziona solo se l’intera troupe è affiatata. E non c’è maggior
affiatamento del sussurro nelle orecchie.
Mentre sono lì che faccio queste riflessioni e una macchia di sugo mi
cade sulla scollatura, sento un sibilo arrivarmi alle orecchie. “Sempre
qui da sola?” E’ il primo attore che mi occhieggiava da tempo con
sguardo profondo e significativo mentre correvo di qua e di là col ciak
in mano a chiedere quale fosse il numero di ripresa da scrivere. Gli
attori hanno sempre un certo fascino, specie se li vedi recitare.
L’emozione che dà un individuo che ti fa gli occhi bovini un momento e
subito dopo aggiusta l’espressione in efferata cattiveria o in alcolica
depressione è grandissima. Stranamente, vedere che un uomo può mentire,
inventare sentimenti ed espressioni in modo tanto credibile e tanto
veloce, invece di terrorizzare e gettare un’ombra su di lui, ci attrae
irresistibilmente.
Lui era proprio bravo, riusciva a collaudare l’espressione in pochi
attimi e si concentrava in mezzo al bailamme impressionante di un set
con estrema facilità. Ah, che fascino! Ci sentiamo onorate di attrarre
la sua attenzione perché nel microcosmo del set le gerarchie del mondo
“vero” sono esasperate. Ricevere le attenzioni di un macchinista è
accettato, naturalmente, di buon grado, ma non c’è paragone con
l’essere la beniamina del primo attore. Non ne parliamo poi di ricevere
quelle del regista che, di norma, è l’unico a fare il sostenuto, a
essere più serio e intoccabile e che, se ha una beniamina, la tratta
male. Ah, che emozione essere trattata da pezza da piedi dall’uomo più
importante del set che poi, a giornata finita, e questo lo sanno tutti,
si getta tra le nostre braccia come un bambino in quelle della madre. E
ad ogni “ti ho detto di fare silenzio!” la beniamina si guarda intorno
con un sorriso soddisfatto come a dire “a voi non lo dice mica così!” E
noi tutte invidiamo il privilegio del dileggio che ha solo lei.
Tuttavia anche il primo attore è una gran posizione nella pole position
delle attenzioni da set. Sebbene il primo attore di solito ne ha più
d’una di amante-da-set, è lo stesso un privilegio ricevere i suoi
bisbigli nelle orecchie.
Sollevo lo sguardo strofinandomi disperatamente la macchia di sugo. Lo
guardo. Lui mi guarda intensamente e sorride. Io penso: “Mi sta
guardando le labbra... oddioddioddio... ma che mi vuole baciare qui
così? In mezzo a tutti? Oddioddioddio...” Lui allunga la mano verso la
mia guancia e io penso “Omadonnasanta adesso mi afferra e mi bacia
appassionatamente...” e invece lui mi stacca un pezzetto di pomodoro
dalla guancia. Mi sento una cretina e penso “mi pareva troppo strano di
essere proprio io, il gradino più basso di questo set, non sono nemmeno
pagata... di essere proprio io la sua beniamina...”
I giorni passano e lui mi guarda sempre più intensamente e non perde
occasione di venirmi a bisbigliare nelle orecchie ma io non credo che
sia affatto possibile che noi possiamo diventare la coppia-da-set. In
quel set non si era ancora formata una coppia e tutti si chiedevano chi
sarebbe stato a fare il suo dovere e a fare anche di quel set l’alcova
di una torrida passione.
Lui fa lo spavaldo, mi cerca con la camicia aperta e mi chiede di
aiutarlo ad abbottonarla. Si spoglia davanti a me e cerca di stare
sempre vicino a me durante le pause. Io lo osservo mentre recita e
comincio ad avere la sensazione che reciti per me, mi sembra
addirittura che mi lanci delle occhiate al di là della macchina da
presa, addirittura durante la recitazione!
Capita di impazzire leggermente a volte e di credere che il mondo
veramente ti parli, che la realtà ti stia mandando dei segnali e ci
dimentichiamo che la realtà manda solo segnali caotici, alcuni dei
quali possono cadere proprio accanto a noi, ma ciò raramente significa
qualcosa.
Una sera si avvicina a me e comincia a chiacchierare di sciocchezze,
sempre sussurrando, si capisce. Piano piano tutti vanno via e gli
chiedono se vuole andare in pizzeria con loro. Lui guarda sempre prima
me che rispondo “No, io vado a casa” e dunque rifiuta gli inviti.
Restiamo soli e mi dice: “allora ti posso accompagnare a casa?”
Accetto e tremo, tremo. Mentre camminiamo verso la macchina mi sento
una fan di Elvis a cui il Re abbia offerto un passaggio sulla sua moto
da sogno, con frange e lustrini che sfrecci tra le ali di un pubblico
in delirio.
Invece arriviamo a una vecchia Simca con i finestrini puntellati da
cacciaviti e la portiera del passeggero bloccata. Entro dall’altra
portiera e aspetto quieta e col fiatone che entri anche lui. Si siede.
Partiamo. Lui tace, improvvisamente e’ totalmente quieto e tamburella
con le dita sul cruscotto a ogni semaforo.
Io penso: “Ma quando mi bacia? No, perché adesso se non mi bacia mi
incazzo... Sul set devo tornare domani con la faccia di una che è stata
baciata dal primo attore. Non si scherza su queste cose...”
Ma lui tergiversa, è spaventato, mi sembra addirittura che stia
sudando, ma non ne sono sicura perché non lo guardo direttamente. Ci
fermiamo sotto il mio portone. Spegne la macchina e continua a tenere
gli occhi bassi, tamburellando il cruscotto. Allora vengo presa da una
vertigine di follia. Tutto mi sembra così vacuo e allo stesso tempo
buffo. Mi sembra di averlo per le mani, di averlo in pugno, “sotto il
mio pollice” come si direbbe in inglese. E allora gli dico: “Mi puoi
anche baciare, sa? Non mordo mica... Almeno non sempre.” E sorrido, lui
abbozza un sorriso nervoso e mi guarda incerto. Ci guardiamo così per
un po’ e poi si avvicina. Si avvicina. Si ferma. Ormai siamo troppo
vicini per vederci a fuoco e restiamo un po’ così a guardarci con gli
occhi strabici. Io sorrido sempre e mi sembra di essere serena. Parto
io col bacio e lui mi abbraccia. Ci baciamo per un bel po’, chissà
quanto. Il primo che inventa un modo per mantenere il senso del tempo
mentre ci si bacia, è pregato di farmelo conoscere.
Lui poi abbassa la testa e torna a guardare in basso. Io apro la
portiera, gli allungo un altro bacio veloce e dico: “a domani, allora.”
Salgo le scale quattro a quattro. Ho baciato il primo attore!! Arrivo a
casa, mi siedo sul divano e lascio tornare il cuore a battiti quasi
normali.
Prendo il cellulare e gli mando un messaggio “Grazie, è stato bello.”.
Dopo una mezz’ora mi arriva la sua risposta: “Ti prego, non mi
perseguitare. Non essere ossessionata!”
The epitaph is the aftermath
Storia melensa II, breve seguito chiarificatore. Mesi dopo un mio amico mi dice:
"Ma non lo sai che le canzoni anni '60 dei Rolling Stones si mettono per conquistare le donne che si vogliono scopare?"
No, non lo sapevo. Non li aveva in macchina per se', ma per "quelle come me"... Momenti sublimi di comprensione del mondo.
Manuale per bambine cattive capitolo IV
Febbraio
Giosuè
Con un nome tale non si poteva fare molto. Preghiere, atti di
contrizione, portar cioccolatini alla suocera o, al massimo, ridere
sotto i baffi immaginando gli amplessi furtivi, a luce spenta, che
poteva avere con la moglie una volta a settimana.
Anche se è giovane, anche se è un amico del mio ragazzo e lui stesso ha
una ragazza. Siamo amici a quattro, non siamo amici veri. Essere amici
di coppie quando si è in coppia è una cosa curiosa. Perché si può ben
essere amici di una coppia, e ciò accade se si è single. In qualche
modo la coppia ci prende a benvolere e, ora l’uno ora l’altra ci danno
consigli, ora l’altra ora l’uno ci presentano amici e parenti: avanzi
di donne altrui. E la nostra vita si dipana parassitaria attraverso i
corridoi che percorriamo con la mano tesa e il sorriso legnoso a
scoprire qualche dente, magari un paio di incisivi che fa tanto
coniglietta, mentre ci avviciniamo a “quello” che ci aspetta laggiù, un
po’ al buio, e nelle orecchie abbiamo le parole di incoraggiamento “è
un ingegnere sai. Cucina bene, vedessi!”
Corridoi corridoi. Noi siamo nella parte in luce e loro sempre, chissà
perché, in quella in ombra. Protetti, mentre noi falchiamo i metri e i
metri su tacchi alti altri metri, ondeggiando quel tanto che possa
attrarre ma col buon gusto del non si sa mai.
Sono tutti misteriosi esseri, sconosciuti e pieni di se e di purtroppo
e di mi piacerebbe e di ma io quest’anno ci vado a Cuba. La stanchezza
di queste conversazioni con giacchette ben stirate e cravatte monocrome
può essere salvata solo dall’apparizione del conosciuto, di chi sai che
non è così. L’amico di vecchia data, un quarto di quella amicizia a
quattro.
Io avevo perso il mio altro quarto e lui aveva perso la sua, così
avevamo salito i gradini e ci trovavamo alla piattaforma superiore a
fare i mezzi, con la sensazione che i quarti disuniti ci continuino a
gardare da una decina di passi più in giù, piccoli come dei quarti, ora
che noi siamo mezzi. Il quarto che ho davanti è Giosué e io l’ho sempre
guardato, schivando gli occhi della sua donna e quelli del mio uomo.
Del resto eravamo più simili io e lui, caotici e ridanciani, un po’
surreali nel modo di esprimerci, allegri e vitali. E desideravamo
sapere come ci saremmo baciati. Perché per tutti quegli anni non c’era
dubbio nelle nostre menti che ci saremmo baciati.
Ed eccoci, insieme a una festa. Dov’è il tuo lui? Ah, divorziati, eh? E la tua lei? Ah, anche tu? Mi dispiace.
E bastano due passi, un balcone carico di piante tra il fragore di una
cucina sovraesposta e rumorosa per baciarci, cercarci con la lingua e
premerci il corpo contro. E tutto, tutto quello che facciamo è il
copione dei nostri pensieri, nemmeno desideri, nemmanco fantasie.
Pensieri. L’avevamo pensato, castamente, il nostro incontro ed ecco che
si svolge come fra due educande che non sanno bene dove mettere le mani.
Lui è tanto alto e magro, del resto, dove mi metto a scavare per
trovare e produrre sensualità? Qui, sul balconcino per giunta? Lui
sembra più sveglio di me e sa afferrarmi il seno con rispetto (il
rispetto che ha per un seno che ha osservato e pensato per dieci anni,
il seno non suo, ma del suo amico. E io sentivo il suo baciarmi come un
tentativo, un modo di capire se poteva baciarmi come baciava lei,
l’altro quarto.
Puoi baciarmi come lei? Siamo alte uguali, in fondo, more entrambe...
io ho le labbra più strette... Come si fa? E il suo toccarmi era casto
era solo il modo di capire se per caso io non fossi lei.
E io non sono lei, se n’è accorto e mi ha continuato a baciare lo
stesso. Io però ero troppo persa nel pensiero, nello studio di ciò che
era successo e di ciò che stava succedendo. Maledizione a me! Sondavo
con la lingua, organo sovrasensibile, il braille delle sue intenzioni,
delle sue emozioni e mi ero scordata di pensare alle mie, mi ero
scordata di crearmi delle mie emozioni.
Niente da fare, quella sera l’ho rimandato a casa.
Un anno dopo. Lo sapevo che ci saresti stato a questa festa. Stesso
balcone, stessa gente, stessi rumori, stessa sovraesposizione della
luce. Siamo sul balcone e parliamo. Cavalli feriti. Come? Caduto con la
testa indietro? Cosa? Per fortuna hai trovato una tipa con una stalla
vuota? Eh, sì, son cose da augurarsi alla propria primogeniture...
E ridiamo ridiamo. Ci guardiamo e ci annusiamo ma non ci tocchiamo.
Infine balliamo e interpretriamo tutti i balli allo stesso modo.
Abbiamo forse inventato uno stile, ma più probabilmente volevamo
toccarci, strusciarci. Col rock, col tango, coi Beatles e con Phillip
Glass abbiamo fatto la stessa danza, passandoci il corpo come fosse un
testimone. Ridendo.
E di nuovo. Portami a casa e baciami e ci baciamo e siamo due metà e mi
tocca e così scopre che non sono lei, il suo quarto mancante, sono un
mezzo, sono solo un mezzo. Le mani si tranquillizzano ma si devono
fermare lì perché voglio andare oltre quando anche io ci avrò capito
qualcosa e ci diciamo chiamamoci no? Sì certo, ci vediamo... benebene
presto.
Quanto può essere distruttivo del proprio sistema epistemologico di
comprensione della realtà il fatto che il tipo non risponde ai messaggi?
cronaca di una festa annunciata
Giovedi' 28 Aprile
Un amico mi chiama: "Allora? Facciamo martedi' da te? Una cenetta e poi ci vediamo il video che hai fatto per noi"
io - "Si', che bello! Vieni, porta anche Alberto!"
Venerdi' 29 Aprile
Io - "In quanti siete? A che ora arrivate?"
Amico - "..."
Sabato 30 Aprile
Io - "Ehi, Pamela, ti va di venire Martedi' a casa mia? Faccio una cena mediorientale..."
Pamela - "Non so... il mio ex, mia madre, mia sorella, cazzi vari... Ah! Come mi piacerebbe! Ti faccio sapere domani!"
Domenica 1 Maggio
Io - "Ehi, Pedro e Alejandro, visto che siete qui a mangiare da me e a
bere da me davanti al mio televisore per il concerto del primo Maggio,
perche' non venite Martedi'? Cucino qualcosa di mediorientale e vi
faccio conoscere qualche amico..."
Pedro e Alejandro: "Che bello! Si si si! Non conosciamo ancora nessuno a Roma! Grazie!"
Scrivo un sms all'amico di cui sopra: "In quanti siete? Casomai sposto i mobili e compro piu' yogurt..."
Amico - "..."
Lunedi' 2 Maggio
Io - "Pamela, allora vieni?"
Pamela - "..."
Io - "In quanti siete?"
Amico - "..."
Martedi' 3 Maggio
Io - "Ma in quanti *bip* siete?"
Amico - "Ciao, come va? Allora, viene Marco, Aurelio, Giovanni e la ragazza, hai presente?"
Io - "Non ho mai sentito nominare nessuna di queste persone..."
Amico - "Come? Erano da me alla festa... ah, gia', non ti avevo
invitato... Comunque. E poi Stefano, Camilla e Francesca, col cane. Va
bene il cane?"
Io - "Ma io ho il gatto..."
Amico - "Pero' non prima delle 11.30..."
Io - "Undici e... aspetta... mi si scuoce tutt...."
Amico - "scusa, scappo alla partita" clik, tu tu tu tu tu
Io - "Pamela?"
Pamela - "Ti posso richiamare?"
Mando un messaggio a Pedro e uno a Alejandro. "Allora, ci vediamo
stasera? Sto cucinando per un esercito. Sono quattro ore che sto
preparando tutto..."
Pedro - "..."
Alejandro - "No, giornata nera e umore anche" (sono gia' le 19.20 quando ricevo il messaggio."
Messaggio di Pamela!
Pamela - "Vengo, forse, dopo cena. Ho incontrato un tipo strafico e COL CAZZO che te lo faccio vedere!"