Prima erano tende e distanze, folate di polvere gialla contro vetri
molati alla meglio e fuligine, lontananze di interi campi, da
percorrere
su carri o cavalli e l'incommensurabile distanza di ciò che è uguale e
invisibile. Dentro alle finestre degli altri c'era una vita
simile alla nostra, una famiglia con le stesse facce, lo stesso cibo,
le stesse spese ogni venerdì. Oggi ci pensiamo diversi e unici e
sentiamo che dietro ai vetri di una casa che non è la nostra ci sia un
mondo che non ci appartiene, una vita che non conosciamo, delle facce
che non potremmo immaginare solo pensandole.
E anche se è più facile guardarli, gli altri, attraverso le imposte che
rimangono zitte proprio davanti ai nostri muri, dietro i cortili, a
mezza scala tra l'interrato e i piani alti, quello che ci appare è un
mondo schiacciato, una prospettiva che non riesce ad aggiustarsi mai in
tre dimensioni. La distanza tra le paratie esterne e il muro con i
quadri e le lampadine è imponderabile, tutto è avvolto da un colore
rossastro che riempie lo spazio come un solido senza lati e le figure
che vi danzano dentro non sono che cartoline sullo sfondo di una
lanterna magica.
Di sopra, il cielo è più chiaro della notte e nasconde alle nostre attese la distanza fra noi e le stelle.