Astor era un vero trapezista. Quando era nato, sua madre l’aveva appena
guardato e le era sembrato che, tutto sommato, non era valsa la pena di
far tanta fatica. Lo lasciava giocare, sbirciandolo di tanto in tanto e
scuotendo la testa: non ne era proprio valsa la pena.
Astor cominciò a saltare con gli amici dai muretti intorno al suo
palazzo e quando gli altri smettevano improvvisamente di ridere e
dicevano “no, basta, andiamo a casa”, allora lui con un balzo superava
la cancellata di ferro e si appollaiava sulla colonna mozza che
sosteneva i pesanti cardini arrugginiti. Si stringeva le ginocchia con
tutte e due le braccia sottili e si guardava la punta dei piedi. Gli
altri bambini fingevano di allontanarsi, ma in realtà si spostavano da
sotto e trattenevano il respiro aspettando il balzo. E allora, proprio
in mezzo al momento più sospeso, Astor spiccava il salto e volava fin
quasi alle loro teste. I bambini si spostavano spaventati, qualcuno
sorrideva meccanicamente.
Tutti poi andavano a casa, coscienti che Astor non sarebbe mai stato loro amico.
Astor mangiava con la testa nel piatto e solo di quando in quando,
quasi involontariamente, si faceva passare la sedia da un dito
all’altro in acrobatica eleganza. La madre volgeva appena la testa
dall’acquaio e tornava a insaponare i piatti.
Astor aveva il dono delle acrobazie. Tutti i movimenti che faceva gli
sembravano goffi, ogni atterraggio gli sembrava pesante, ogni salto un
errore. Perfezionava le sue performance esercitandosi in acrobazie che
non avrebbe mai mostrato a nessuno: piroette impossibili, giravolte
pericolose senza rete, senza piano su cui atterrare. Usciva di casa
sempre più presto e tornava sempre più tardi per andare ad allenarsi in
posti sempre più remoti cosicché nessuno potesse vederlo.
La madre gli metteva sempre lo stesso panino nella sacca e lo guardava
un momento negli occhi. “Non ci riuscirai neanche oggi, Astor”, gli
diceva e lui annuiva.
Un giorno gli si avvicinò un uomo del circo che si era stabilito nel
suo quartiere. Aveva sentito parlare dell’acrobata solitario e chiese
ad Astor “vuoi venire a fare il trapezista?” Astor rispose di sì e andò
a vivere in una roulotte insieme al giocoliere.
Ogni giorno faceva il suo spettacolo, lanciandosi da un palo all’altro
del tendone senza la rete: solo. Faceva i suoi volteggi più semplici e
gli sembravano sempre imperfetti. Il pubblico era ammaliato da lui e
cominciò a circolare la sua fama, quella di un trapezista che rischiava
la vita a ogni performance.
Astor si guardava nello specchio prima di andare in scena e scuoteva la testa. “Nemmeno oggi, nemmeno oggi.”
Un circo molto più importante gli offrì un ingaggio favoloso ma ad
Astor non piacque la loro offerta perché volevano che saltasse insieme
ai loro trapezisti.
“Tu sarai la star, Astor! Gli altri faranno dei volteggi preparatori e
tu entrerai trionfalmente a metà!” Ma Astor scuoteva la testa. Come
potevano pensare che lui si sarebbe esibito insieme ad altri
trapezisti? Nessuno conosceva gli esercizi che faceva in segreto e
nessuno poteva capire quanto ancora gli servisse per diventare un
trapezista vero, il trapezista che diceva lui. Lui sapeva che avrebbe
sempre fallito come trapezista e che forse l'unica cosa ad attrarlo
ancora a quel mestiere era la vertigine dello smacco.
Astor prese a gettarsi dai pali della luce, a camminare bendato sui
fili del telefono e a saltare da un tetto all’altro a piedi nudi.
Nonostante niente fosse come lo voleva lui, nonostante tutto fosse
sbagliato, Astor non cadeva mai, non si faceva mai male.
Alla sera si guardava allo specchio e scuoteva la testa: “Nemmeno oggi, Astor.”
Astor era un vero trapezista e la gente se lo ricorda ancora come
l’acrobata che morì sorridendo dopo un perfetto salto triplo quando
l’asse portante del tendone s’incrinò e rovinò a terra tra il tumulto
della folla.