Vide una sua studentessa attraversare la piazza in una corsa
sgangherata, inseguita da un ragazzo. Cecchi. Emilia. Emilia? Ah, sì:
Emilia. Si faceva chiamare Barbara però perché odiava il nome Emilia e
odiava lui, il professore che insisteva a chiamarla col nome da
registro. C’erano due Cecchi nella classe, Roberto ed Emilia. Non erano
nemmeno parenti, erano solo un curioso caso di omonimia in un liceo che
raggruppava studenti che vivevano, più o meno, nello stesso quartiere.
Due Cecchi di due famiglie completamente disgiunte, chissà quando,
dall’antenato comune. Se pure ce n’era stato uno. Così lui li chiamava
per nome, per non confondersi.
“Presso’,” diceva Emilia, “ma chi se confonde? Semo disciassette in
classe,” strascicava sempre le velari del gruppo ‘ci’, “e lui è ’n
secchione. Nun lo chiama mai alla lavagna. Chiama sempre a me. Come
famo a sbagliacce?”
“Facciamo, Emilia, come facciamo a sbagliarci. Emilia è un bel nome,
nobile. Barbara è un nome… barbaro.” Qualcuno sorrideva alla sua
battuta, sempre la stessa. “E io so’ Barbara… che ’n c’o sa, presso’?”
Alla battuta di Emilia invece tutti scoppiavano in una fragorosa risata.
Emilia portava i capelli corti dal lato destro della testa, rasati, e a
caschetto al lato sinistro. Neri con due strisce rosa intenso. Anello
al naso, anello al sopracciglio destro. Sembrava voler castigare quel
lato del suo corpo, il lato controllato dall’emisfero sinistro,
l’emisfero razionale. Il lato sinistro del volto, quello controllato
dall’emisfero emotivo, era completamente coperto dai capelli e lui non
credeva di averlo mai visto direttamente, in buona luce. Ma questa era
quasi psicologia popolare, pensieri da casalinga frustrata. Marcello
dovette censurarsi per la seconda volta quella mattina e sforzarsi di
non comportarsi come un mediocre. Ben altro, ben altri erano i pensieri
che doveva fare!
Osservò la ragazza correre tutta piegata da un lato, mentre mandava
delle grida terribili, come se la stessero sgozzando. A lui parve che
potesse inciampare e cadere da un momento all’altro sugli strascichi
dei suoi pantaloni di quattro taglie più grandi. Sopra aveva una
maglietta corta e sottile, che a malapena le copriva il seno. Il
ragazzo che la inseguiva era vestito come lei, solo con una maglietta
un po’ più lunga. I capelli rasati a mezzo cranio, proprio come lei, ma
dal lato opposto. Quando la raggiunse, perché la raggiunse, il
professore lo sapeva che l’avrebbe raggiunta, aspettava che la
raggiungesse, la buttò a terra, vicino alla fontanella e i due si
baciarono. Così, in mezzo a tutta la gente che passeggiava. Tra le
biciclette e le coppiette, il banco dei fiori e la pozza d’acqua a
terra. Lei poi lo spinse via con un grugnito e si rimise a correre,
verso il bar dove lui era seduto. Lo vide e continuò a correre
sorridendo fino al suo tavolo. Si fermò a un metro da lui e sbatté le
mani, col fiatone, sul tavolino che traballò facendo schiumare un po’
del cappuccino sul piattino.
“A presso’, ma che ce fa qua? Che c’ha ’n appuntamento?” Intanto il
ragazzo l’aveva raggiunta e stava in piedi dietro di lei, piegata in
avanti a guardare il professore e a parlargli in faccia col fiato tanto
grosso che a lui arrivava tutto il sapore della sua bocca, il sapore
del bacio che aveva appena dato. Il ragazzo lo guardava fisso e posò le
mani sui fianchi di lei.
“Stavo ripassando Leopardi.” disse Marcello e posò il libro sul
tavolino, sulla mano di lei. Lei la ritrasse come fosse stata morsa da
un serpente.
“Madonna, presso’! Ma lei ’n se schiarisce mai?” Disse lei e si mise a
ridere tirandosi i capelli indietro. Marcello era calmo, si sentiva
come quando era in classe: una steppa silenziosa nel petto, un fruscìo
sommesso nella testa. Sorrise, appena.
“Vabbé presso’, io vado. È sempre bello vedesse così per caso, fuori de scuola, no? Mejo che vedesse a scuola!”
“Eh già,” annuì Marcello, “si acuisce il senso di comunità quando si incontra qualcuno fuori dai confini del proprio gruppo.”
Emilia si voltò a guardare il suo ragazzo. “Che t’avevo detto? Eh…?” Il ragazzo sorrise e i sue se ne andarono mano nella mano.
Che gli aveva detto Emilia di lui? La sua frase che mai aveva di
particolare, che mai poteva essere di speciale per rappresentare tanto
bene ciò che Emilia poteva aver detto al suo ragazzo? Marcello sollevò
pensoso la tazza col cappuccino e bevve un sorso. Una goccia cadde
dalla base che si era inzuppata con l’arrivo della ragazza e gli
macchiò i pantaloni.