Visto lo strepitoso successo della prima parte del racconto pubblicata
piu' sotto (praticamente non se l'e' filata nessuno) mi sono lasciata
convincere a metterne qui un altro pezzo.
____________________
Entrò in bagno e batté la mano sul muro. Non era certo quello che
avrebbe voluto, uscire con la collega di biologia, single da poco, con
una gran voglia d’avventure.
Si guardò allo specchio. Quarantaquattro anni, come i gatti. Gli venne
da sorridere e notò tutte le rughe intorno agli occhi. Si fece serio.
“Troppi?” disse allo specchio, cercando di avere un’aria naturale. Si
trovò repellente. Voltò la faccia verso le mattonelle e rimase un
attimo a respirare dalle narici lontano dalle luci sullo
specchio.
“Naturale, devi essere naturale. Quando sei naturale, puoi anche avere
mille rughe e vai sempre bene, lo sai…” Sollevò lo sguardo sulle
mattonelle bianche e si vide smerigliato sulla superficie irregolare
davanti a sé. Increspature come nell’acqua, quel tanto di sfocato e
quel tanto di riverbero che poteva far pensare a un lago, un fiume… una
superficie d’acqua. Le rughe, le imperfezioni, tutto spariva. Solo i
suoi occhi neri, le sopracciglia aggrottate e quel tanto di baffetti
che teneva sopra il labbro si vedevano. Sorrise, compiaciuto e quasi
cattivo a quell’immagine triangolare di se stesso, quella prospettiva
laccata e irregolare della mattonella.
Mise le mani nell’acqua tanto per giustificare a se stesso che era
stato in bagno e uscì. Camminando per i tavoli si sentiva forte, uomo,
alto e potente. Una roccia, un gigante. I polmoni sembravano essersi
allargati, ogni ventricolo sembrava trasportare il sangue più
efficentemente. Tutto scorreva nel suo corpo. Sentiva le gambe, a ogni
passo. Una gamba, poi l’altra, come al rallentatore. Non era nemmeno
concepibile che lui potesse inciampare su una sedia, che potesse fare
un gesto goffo al passare del cameriere. Lui era un essere umano, lo
sentiva: era vivo. Voltò il capo e sorrise alla signora che si
aggiustava il rossetto mentre il marito si infilava un’enorme
forchettata in bocca. La signora rimase a guardarlo passare col
rossetto sollevato e le labbra scostate, un po’ storte, in una
posizione buffa. Lui sentì il suo stesso sorriso che gli si stendeva
sulla pelle del volto e tornò a guardare davanti a sé pensando “Sono
più bello di lei.”
Si avvicinò al tavolo in cui la sua collega lo stava aspettando con
tutto il fascino di un uomo che sa di poter rifiutare la donna che ha
di fronte.
“Ho preso anche delle mozzarelline!” disse Federica abbassando lo
sguardo a guardargli le gambe, giù fino ai piedi. Istintivamente anche
lui si piegò a guardarsi le scarpe, come se ci fosse qualcosa che non
andava e per poco non distruggeva l’effetto benefico dello specchiarsi
nella mattonella con un’improvvisa insicurezza.
Ma no, tutto andava bene. Le scarpe non avevano problemi, lui era
forte, perfetto. Si sedette. E subito non aveva niente da dire. La
guardò e si accese una sigaretta. Si voltò a guardare dove si trovasse
il cameriere.
“Ma è venuto proprio lui, il cameriere?”
“Ah… ma davvero la tua è un’ossessione!”
“Mi sembra di averlo già ammesso prima.” Disse lui e si sentì un dio
mentre si voltava lasciando cadere con noncuranza la cenere a terra.
Quella notte, lo sentiva, avrebbe dormito bene.