Science fiction for dummies II
Dopo essermi riconciliato con il mio appartamento, dunque, mi accinsi a
cercare l’appendiabiti per poggiarvi il mio cappotto. Non c’era
all’ingresso… dove poteva averlo messo Marina? Entrai nella sua
testolina mutevole e cercai nei posti più improbabili. Infatti lo
trovai in camera di ripiego, l’ultima della casa. Marina era sul
ripiegante che guardava un laser che disegnava arabeschi sul muro.
“Amore, ma che ci fa l’appendiabiti qui?”
Marina sobbalzò e mi sorrise subito correndomi incontro.
“Alamir, tesoro!” e mi diede un bacio. “Non vedi?” chiese, “E’ la
stanza più bella della casa; è un peccato ogni volta dover trovare una
scusa per mostrarla agli amici. Per evitare affettazione, che so che a
te non piace, l’ho messo qui, l’appendiabiti. Dovranno pur venirci a
lasciare i loro soprabiti, no?”
Marina sorrise di nuovo. Era così bella, così simpatica nel suo modo di
saltellare quando era allegra. Mi venne voglia di chiudermi nella
camera sterile con lei, ma già era scomparsa in cucina. La seguii
cominciando a raccontarle la mia giornata.
“Sono passato dal motoarticolatore come mi avevi detto tu…”
“Ah, sì?” fece lei cristallina. Le guardavo le gambe passare attraverso
il corridoio e attraverso la porta a vetri della cucina. Ero così
affascinato dal suo modo di muoversi che quasi mi dimenticavo di aprire
la porta per entrare anche io. Lei si voltò.
“Una volta o l’altra ci sbatterai e la manderai in pezzi! Devo ricordarmi di tenerla aperta per te.”
“Mh.” Mugugnai. Mi sentivo sempre un po’ inferiore quando sottolineava le differenze tra i nostri sottogruppi.
“Che dici, provo anche io a fare domanda per salire a semi-Biutello?”
“Ancora! E’ pericoloso, lascia stare. E poi, a che serve? Solo per lo
sfizio di poter passare attraverso i materiali soffiati? Dài, non
t’impuntare come al solito. Ricordi quella volta che decidesti che
dovevi a tutti i costi acquistarti qualche paio di Prassitoestensori?”
Aveva una memoria prodigiosa, totale, spietata. Già, una delle caratteristiche del suo sottogruppo. La memoria…
“E ancora ci penso, se lo vuoi sapere! Ma scusa, non avrei bisogno di mangiare, di dormire, non prenderei malattie…”
“Ma a nessuno piacciono i Prassiti! Tranne ai Corporei che, per qualche
motivo, trovano affascinante stare accanto a qualcuno completamente
dipendente da loro… Ma lasciamo andare per oggi, eh? Ho preparato tante
belle cose!”
Stava finendo di tagliare le fibre ottiche e le dispose con grazia su
due piatti. Aveva un gusto straordinario nel disporre la cena.
Andammo in sala e posammo i piatti sul tavolo, ognuno sul suo cromodilatatore. Le sorrisi e lei mi prese la mano.
“Guarda” disse con la voce che era un sospiro, e sorrise guardando i cromodilatatori.
Subito si accesero i diffusori e le fibre ottiche si sollevarono
all’altezza dei nostri occhi. Alcune delle mie, quelle disposte più
lontane dalle sue, s’incurvarono formando delle sfere trasparenti e
muovendosi verso il basso si spinsero dall’altro lato verso le sue,
passando sotto le altre mie. Le sue invece si spostarono tutte in
avanti e si divisero in due gruppi che si colorarono uno di viola e
l’altro di verde.
Mi voltai a sorriderle perché avevo capito cosa aveva pensato di fare.
Lei mi restituì un sorriso complice e ripeté: “Guarda” sempre in un
soffio.
Le viola e le verdi si disposero in due cerchi concentrici che
cominciarono a ruotare in senso opposto, l’uno disponendosi in
verticale, l’altro in orizzontale, come le orbite che avvolgono il
nostro pianeta. Quando arrivarono le mie sfere, un raggio verdino le
colpì ed esse sibilando si inserirono nel cerchio più interno. Ammirai
la sua maestria nell’essere riuscita a programmare l’operazione senza
che l’entrare delle mie sfere interrompesse il ruotare delle sue fibre.
Sorrisi di nuovo, ma stavolta senza voltarmi e sapevo che anche i suoi
occhi erano incollati a guardare la scena che lei stessa aveva
immaginato e ora osservava con un misto di apprensione e di sorpresa
per le variabili che sempre ci sono in una cena cromoluminare. Le mie
sfere levitavano muovendosi leggermente in alto e in basso mentre le
sue fibre continuavano a ruotare. Tornai a guardare le mie altre fibre
che erano rimaste sospese e che erano la variabile di quella cena, per
come aveva disposto Marina. Anche lei si voltò e sentii che tratteneva
il respiro. Erano cinque. Due volarono verso il mio volto e
istintivamente mi ritrassi un po’, mentre altre due volarono verso il
suo, ma lei non lo ritrasse, chiuse gli occhi e sorrise. Tracciando un
otto in aria, ciascuno dei due gruppi di fibre cominciò a sibilare
intorno al mio viso, passando tra noi due e andando a sibilare intorno
al suo. Chiusi gli occhi anche io, dopo aver fissato lo sguardo sulle
orbite viola e verdi che incorniciavano le mie sfere. Il sibilo era
costante, frusciava sfiorandoci e sentivo il calore del raggio
vettoriale sopra i cromodilatatori allargarsi a comprendere anche noi
due. Gradatamente il sibilo si fece più melodico, una sorta di nota,
forse un fa diesis, e lo sentivo passare dalle orecchie fin dentro alla
testa e crescere, crescere fino a che aprii gli occhi di scatto e vidi
l’ultima mia fibra che si scagliava contro alle orbite infrangendone il
moto e facendo così cadere queste e le mie sfere sul suo piatto. Le
altre fibre si erano consumate nel sibilo e sentivo che erano entrate
nella mia testa. Lasciai che il raggio al cromo trasferisse le molecole
delle fibre attraverso le mie pupille e sentii quanto erano colorate di
leggero. Mi voltai a guardare Marina che mi lanciò uno sguardo gonfio
di amore e la baciai.