Mi dicono dei sacrifici, e dei pregi,
dell’aria aperta. Se si esce all’aria aperta.
Scimmie ammaestrate che siamo, il fascino dell’altrove
lo dedichiamo volentieri alle anime semplici. Tanto,
sulla linea di mezzeria è ancora rappreso il sangue del gatto di quartiere.
Una striscia di sole contro la palazzina di fronte,
si vede il riflesso anche dalla vetrata dei macchinari ginnici,
palestra e finestra di oggi, mostriamoci nella fatica,
corporale. La musica,
il facchino che scardina la tettoia dell'acquario
e quegli occhi gelatinosi che fissavano la loro gabbia di vetro
e boccheggiano solerti al varco del cibo.
Sottovento, una volta, ho sentito odore di putredine, avanzo carnale, spoglia.
Il mare. A puntare gli occhi all’infinito solo grigio, forse marrone.
E’ il mare d’inverno, dicono. Quel sogno di mare d'estate,
sospirato col volto riverso, contro il legno marcito del trampolino di giugno:
"favorisce il desiderio", e aspettiamo, all'aria aperta,
perché è lì che arriva la vita, non mai, pare,
nei nostri loculi, da cui esce sola, a volte, una poesia.